Nuclear Winter, the worse will happen

Distruzione globale di città e nazioni? Fall-out radioattivo? Quando venire vaporizzati all’istante diventa una fortuna…

Ragionando sugli effetti di un conflitto nucleare arrivano subito alla mente le conseguenze immediate o nel breve periodo: ustioni incurabili, contaminazione radioattiva, sofferenze atroci dei sopravvissuti e fino alla morte.

Ma quello che accade dopo è conseguenza non delle radiazioni ma dell’enorme calore sprigionato dalle esplosioni. Immaginiamo milioni e milioni di volte quanto una grande eruzione vulcanica può generare.

“Una bomba nucleare è l’esplosione più devastante mai creata.
Una bomba può porre fine immediatamente a decine di migliaia di vite, centinaia di migliaia attraverso le conseguenze radioattive. Tuttavia, la parte peggiore verrà dopo: un inverno nucleare che potrebbe ucciderne miliardi, portando potenzialmente al completo collasso della nostra civiltà.

In un inverno nucleare non ci sono vincitori, ma solo perdenti che muoiono di fame.”

 


Scrive il dott. Di Paolantonio:

Il video di cui sopra è l’incubo di Oppheneimer, reso ancora più preciso e spaventoso dalla scoperta di Vladimir Alexandrov (e Paul Crutzen) dell’Inverno Nucleare (1984), che costò la vita al primo nel febbraio 1985 (scomparve a Barcellona!) dopo il duro scontro con Edward Teller ad Erice nell’agosto 1984. Per fortuna il Pentagono verificò l’esattezza dei parametri e dei calcoli di Vladimir, e quindi partirono subito i colloqui tra Reagan e Gorbaciov interpretati dal grande Pavel Palathenko che li aiutò a giungere al Trattato INF che smantellò (allora!) gli euromissili scongiurando la guerra nucleare circa quarant’anni fa.

Il video me lo ha mandato Alan Robock, scienziato della Commissione ONU per lo studio degli sconvolgimenti climatici, che vinse il Premio Nobel per la Pace in ex equo con Al Gore proprio per gli studi sul disastro climatico ed ambientale.


Le armi ipersoniche? Tra mito e realtà

Dal professor Alessandro Pascolini (Università di Padova) questo lungo e dettagliato report sulle caratteristiche e l’effettiva capacità delle armi ipersoniche. Tra realtà e propaganda, mentre cresce la follia della corsa alle enormi spese per nuovi armamenti!

Il governo ucraino ha spesso dichiarato di aver abbattuto missili ipersonici russi in volo; affermazioni che suonavano propaganda, date le mitiche proprietà di tali armi. Un recente lavoro di due ricercatori indipendenti americani permette di esaminare su basi scientifiche le ventilate caratteristiche di tali armamenti e fornisce basi per verificare la possibilità effettiva dell’Ucraina di colpire Kinzhal russi.


Più volte dal 6 maggio 2023 in poi (l’ultima il 2 gennaio scorso) il Ministero della difesa ucraino ha annunciato di aver abbattuto missili ipersonici Kinzhal lanciati dalla Russia contro la capitale. Ciò ha molto sorpreso osservatori ed esperti, dato che tali ordigni sono comunemente accreditati in grado di penetrare le difese antimissile, essendo stati sviluppati appunto a tale scopo precipuo.

Viene quindi il dubbio che le affermazioni ucraine facciano parte della continua guerra di propaganda fra i due paesi; anche per giungere a un giudizio generale sui programmi ipersonici dei vari paesi, occorre quindi cercar di capire se sia veramente possibile che i sistemi antimissile a disposizione dell’Ucraina possano distruggere un Kinzhal in volo.

Il mito

I missili ipersonici sono presentati come una “rivoluzione epocale” negli armamenti: con una “velocità ineguagliabile”, si dice che possano colpire obiettivi oltre l’orizzonte in una “frazione di tempo” rispetto ai missili balistici o cruise esistenti; hanno una quasi totale immunità alla rilevazione, essendo “quasi invisibili” ai sistemi di allarme precoce esistenti; sono pertanto forze che non possono essere intercettate dai sistemi anti-missile. Insieme, queste capacità lasceranno agli attaccati un tempo insufficiente per identificare e confermare con sicurezza la natura dell’arma in arrivo, per non parlare di decidere come rispondere.

I missili ipersonici (https://ilbolive.unipd.it/it/blog-page/nuove-wunderwaffen-missili-ipersonici) sono armi caratterizzate da: velocità ipersonica (ossia superiore a 5 volte quella del suono, circa 340 m/s [Mach 1]), traiettoria per la maggior parte endo-atmosferica e non balistica, alta manovrabilità e accuratezza.

Sono in fase di sviluppo due classi di questi ordigni: missili cruise ipersonici (HCM), dotati di un motore per la loro propulsione, e missili plananti ipersonici (HGM), che invece, una volta rilasciati da un razzo vettore, continuano il loro volo planando verso il bersaglio. Solo la Russia ha dichiarato di aver iniziato nel 2023 a produrre HCM operativi (i 3M22 Tsirkon, SS-N-33 per la NATO), con una velocità massima di Mach 8, mentre in altri paesi ci sono solo test di prototipi.

Esistono due tipi di missili plananti: gli HGM propriamente detti sono lanciati dagli stessi vettori impiegati per i missili balistici a gittata lunga o intercontinentale e dopo una breve traiettoria balistica exo-atmosferica, rientrati nell’atmosfera si collocano su una traiettoria planante di molte migliaia di km, a velocità superiori di Mach 20; di questo tipo sono gli Avangard (SS-X-32Zh per la NATO) russi e i DF-DZ (WU14 per gli USA) cinesi, già operativi, e l’Hypersonic Technology Vehicle-2 (HTV-2) abbandonato dagli USA dopo due test falliti.

Per traiettorie più brevi (inferiori a 2000 km) missili HALBM (hypersonic air-launched ballistic missile) vengono lanciati da aerei e dopo una fase balistica completamente endo- atmosferica procedono planando verso l’obiettivo: di questo tipo sono appunto i Kh-47M2 Kinzhal (AS-24 Killjoy per la NATO), di velocità massima stimata Mach 10.

L’obiettivo dei programmi ipersonici russi è appunto la creazione di forze non intercettabili dai sistemi ABM americani e quindi in grado di garantire comunque la capacità di reazione a una provocazione nucleare: le armi ipersoniche con armamento nucleare appaiono quindi idonee a ripristinare la parità strategica, come dichiarato dal presidente Putin in un celebre discorso il primo marzo 2018.

I programmi americani si basano piuttosto sulla velocità e precisione dei sistemi ipersonici per poter colpire con armi convenzionali obiettivi di alto valore o fugaci possibilmente in qualunque punto della terra senza il ricorso a basi estere.

Il mito sfatato

Non esistono studi indipendenti delle effettive capacità operative degli HCM, mentre la fisica dei sistemi plananti, ancorché complicata, è affrontabile e le equazioni del loro moto sono risolubili con metodi di calcolo numerico e il ricorso a calcolatori, una volta disponibili dati realistici dei velivoli (forma, massa, …).

Il parametro fondamentale per il volo planato è l’efficienza aerodinamica, il rapporto L/D fra la portanza (lift), che fornisce una spinta verso l’alto a vincere la gravità, e la resistenza (drag), che si oppone al moto e ne causa il rallentamento e la perdita di quota. A peggiorare la situazione, la resistenza aerodinamica sottrae energia cinetica al velivolo, convertendola in onde d’urto e in energia termica nell’aria circostante; si raggiungono così temperature fino a diverse migliaia di gradi, con l’innesco di reazioni chimiche.

Sia la portanza che la resistenza sono proporzionali alla densità atmosferica e al quadrato della velocità, con dei coefficienti che dipendono dalla forma dei velivoli.

Nel caso del volo subsonico il valore L/D varia fra 15 e 20 e la distanza che un aereo può percorrere a motore spento risulta circa L/D volte l’altezza iniziale sul suolo: un aereo che cominci a planare a 10 km di quota può percorrere quindi fino a 200 km. Il valore massimo di L/D diminuisce al crescere della velocità e per l’HTV-2 americano ha raggiunto solo il valore 2,6, anche se il velivolo aveva una forma a cuneo per raccogliere la spinta dell’onda d’urto da esso stesso generata.

Quando la velocità di un missile planante diminuisce a causa della resistenza aerodinamica il velivolo deve scendere ad altitudini inferiori dove l’aria più densa può fornire una portanza sufficiente a mantenerlo in volo. Il volo ipersonico planato è quindi limitato a un corridoio di altitudine-velocità relativamente stretto.

Alcuni dati relativi all’HTV-2 americano e ai suoi test di volo sono stati resi pubblici e due ricercatori americani (David Wright del Massachusetts Institute of Technology e Cameron L. Tracy della Stanford University) hanno studiato le possibili traiettorie e gittate di un HGM a cuneo con le caratteristiche dell’HTV-2 in funzione di uno spettro di valori della velocità iniziale impressa al velivolo dal razzo vettore. Particolarmente interessanti sono i loro risultati (pubblicati lo scorso novembre) sulla penetrabilità dei sistemi ABM e il confronto con altri sistemi esistenti.

Il dato fondamentale è la valutazione precisa della variazione della velocità rispetto all’aria durante la planata: a metà percorso si ha una diminuzione di circa il 20% rispetto alla velocità iniziale, qualunque sia, a tre quarti di circa il 40% e a nove decimi oltre il 65%, con un corrispondente abbassamento della quota di volo. Per esempio, un HGM rilasciato a 57,5 km d’altezza con velocità iniziale di 7 km/s (Mach 20,5) con una gittata di 13 mila km, a 6500 km è sceso a quota 48 km e velocità 6 km/s e dopo 12 mila km vola a 35 km d’altezza con velocità 2,5 km/s.

Questo continuo rallentamento annulla il supposto vantaggio degli HGM rispetto ai missili balistici per quanto riguarda la rapidità a raggiungere il bersaglio. Infatti missili balistici possono essere lanciati su traiettorie exo-atmosferiche “depresse” (DTB) più brevi di quelle ottimali, percorribili a velocità superiori a Mach 19 non dovendo subire la resistenza dell’aria. Calcoli dettagliati dei due ricercatori trovano che, a parità di condizioni, un missile DTB impiega circa il 15% meno tempo di un HGM a raggiungere il comune bersaglio.

Una cruciale caratteristica degli HGM è la loro manovrabilità, ma, essendo privi di un proprio motore, per cambiare direzione devono utilizzare le forze di portanza per imprimere una velocità orizzontale, che a sua volta deve essere ipersonica, mantenendo comunque una portanza verticale sufficiente a rimanere in quota. Per generare la portanza supplementare, il veicolo deve scendere a un’altitudine inferiore per sfruttare la maggiore spinta dell’aria più densa e, dopo la virata, tornare alla quota di crociera. Queste manovre possono costare molto in termini di velocità e autonomia.

Per esempio, per virare di 30 gradi, un HGM come l’HTV-2 che voli a Mach 15 a un’altitudine di circa 40 km deve generare una velocità orizzontale di Mach 7,5. Se si abbassa di circa 2,5 km, la rotazione di 30 gradi richiederebbe circa sette minuti, durante i quali percorrerebbe un ampio arco con un raggio di circa 4 mila km. La resistenza aerodinamica supplementare che deriva dal viaggiare in aria più densa ne ridurrebbe la velocità di circa 1,3 Mach, facendogli perdere circa 450 km di autonomia sui 3 mila km che avrebbe potuto percorrere altrimenti. Per virate più rapide, l’HGM dovrebbe scendere a quote inferiori, pagando una maggiore perdita di velocità e portata.

Anche l’“invisibilità” degli HGM si rivela un mito: è vero che un HGM in avvicinamento a 40 km di altezza sfuggirebbe ai radar per gran parte della propria traiettoria a causa della curvatura terrestre, diventando rilevabile solo da circa 500 km di distanza in poi, nell’ultima fase del volo. Tuttavia, durante tutto il volo, la superficie di un veicolo ipersonico raggiunge temperature di migliaia di gradi, producendo una notevole radiazione termica nello spettro infrarosso e generando una linea di gas ionizzato che è più visibile dai radar e dai sensori spaziali rispetto al veicolo stesso.

Sia gli Stati Uniti che la Russia dispongono di satelliti di allerta precoce con sensori a infrarossi, in grado di individuare l’intensa radiazione emessa sia dal razzo vettore che dagli HGM, tracciandone gran parte della fase di planata.

Penetrabilità dei sistemi anti-missile

Anche se è possibile mediante satelliti osservare il lancio di un HGM e seguirne la traiettoria, rimane comunque impossibile attaccarlo nella fase di lancio e durante la maggior parte della

planata con i sistemi anti-missile attuali, come gli statunitensi GMD (Ground-based Midcourse Defense) e SM-3 (Aegis Standard Missile-3), previsti per attaccare testate di ICBM a grande distanza e ad alta quota (oltre 100 km) al di fuori dell’atmosfera.

Accanto a questi sistemi finalizzati a difendere vasti territori, esistono difese anti-missile terminali, che operano in prossimità dei potenziali bersagli a ingaggiare gli ordigni nella fase terminale del loro volo, quando si preparano a colpire il loro obiettivo. Queste difese, tra cui i Patriot e gli Aegis SM-6 statunitensi e gli S-400 e S-500 russi, devono operare a decine di km di altitudine, manovrare in modo aerodinamico e aggredire i missili nemici a breve distanza, proteggendo al massimo piccole (ma cruciali) aree di territorio.

Per gli ingaggi endo-atmosferici, sia l’intercettore che il bersaglio possono manovrare aerodinamicamente e ciò che conta è l’accelerazione laterale relativa che i due oggetti possono raggiungere all’altitudine dell’attacco mentre ciascuno cerca di superare l’altro.

Un principio importante della teoria della guida e del controllo è che gli intercettori devono essere in grado di raggiungere un’accelerazione laterale da due a tre volte superiore a quella di un bersaglio in manovra per poterlo intercettare in modo affidabile; note le caratteristiche dei sistemi coinvolti, questa condizione si traduce in un rapporto fra le rispettive velocità. I due ricercatori americani hanno considerato appunto il caso del sistema MIM-104 Patriot contro un HGM.

Il Patriot ingaggia missili avversari entro una distanza di 60 km con due tipi di intercettori PAC-3: gli MSE hanno una velocità Mach 6 e operano a quote sopra i 30 km e i CRI hanno velocità Mach 4,7 e agiscono a quote sui 20 km. Per manovrare, una serie di piccoli propulsori intorno al corpo conferiscono ai PAC-3 un angolo d’attacco non nullo, ad aumentarne la portanza. I calcoli effettuati nel caso di un HGM a cuneo e di un intercettore PAC-3 indicano che basta che il PAC abbia una velocità fra 0,85 e 1 volte quella dell’HGM per poterlo colpire.

Tenuto presente che nella fase finale di volo di un HGM verso il suo bersaglio la sua velocità è ormai molto ridotta rispetto a quella iniziale, anche se non ha fatto particolari manovre, si trova che effettivamente esiste una finestra di possibilità per un Patriot in prossimità del bersaglio di intercettare e distruggere un HGM anche con alta efficienza aerodinamica.

Kinzhal impiegati in Ucraina sono HALBM lanciati ad altitudini di circa 18 km da un aereo Mikoyan MiG-31K a circa 700-1000 km di distanza dai loro obiettivi. Per manovrare, devono planare per un tratto del percorso (con basso L/D) e iniziare la picchiata a velocità certamente inferiori di Mach 6. Sulla base dei calcoli di Wright e Tracy, appare quindi possibile che la batteria Patriot installata vicino a Kiev possa intercettare un Kinzhal in avvicinamento alla capitale. Gli abbattimenti del maggio 2023 sono stati verificati da fonti governative statunitensi. Funzionari statunitensi hanno affermato che gli ucraini hanno lanciato più missili PAC-3 da diverse angolazioni per intercettare il missile Kinzhal.

I missili ipersonici non sono quindi delle Wunderwaffen rivoluzionarie, ed è importante il lavoro di demistificazione dei ricercatori indipendenti Wright e Tracy, che ha messo in evidenza le forzature propagandistiche dei promotori delle nuove armi in Cina, Russia e USA, alimentando una nuova corsa agli armamenti. Anche il Congressional Budget Officeamericano ha recentemente concluso (gennaio 2023) che già esistono e sono più economici e affidabili armamenti con proprietà analoghe a quelle dei missili ipersonici, il cui sviluppo è quindi ingiustificato da motivazioni militari ed economiche.

Non è attraverso nuovi armamenti ipertecnologici che gli stati possono raggiungere maggiore sicurezza e il sistema mondiale trovare maggiore stabilità: la via da perseguire sono piuttosto decise azioni di disarmo, non solo nucleare.

Padova 3 febbraio 2024


Una minaccia per il mondo? Non è il TPNW…

Alla vigilia dell’annuncio dei “secondi alla mezzanotte” scanditi dal Doomsday Clock, un lungo articolo pubblicato dal Bulletin of the Atomic Scientists a firma di Ivana Nikolić Hughes, Xanthe Hall, Ira Helfand e Mays Smithwick contesta quanto espresso, sempre nel Bulletin, da Zachary Kallenborn.

No, non è il Trattato una minaccia per il mondo, semmai lo è la stessa dottrina della deterrenza nucleare!

 Pubblichiamo l’articolo tradotto, (qua il testo originale). In fondo alla pagina la lunga lista di chi ha contribuito alla redazione di questo importante documento.


Antinuclear activist march
Antinuclear activist march to mark the second anniversary of the entry into force of the Treaty on the Prohibition of Nuclear Weapons (TPNW) in New York, January 20, 2023

In un articolo profondamente fuorviante contenuto in questa pubblicazione, Zachary Kallenborn sostiene che il Trattato sulla proibizione delle armi nucleari (TPNW) è una minaccia per l’umanità. Per costruire questa narrazione, Kallenborn non presenta semplicemente la deterrenza nucleare come una struttura stabile e utile per evitare guerre convenzionali. Piuttosto, va oltre le comuni argomentazioni sulla deterrenza per affermare che le armi nucleari frenano le guerre mondiali, il che consente alle nazioni di lavorare insieme per affrontare le minacce esistenziali. Nulla potrebbe essere più lontano dalla verità.

La deterrenza nucleare è un mito. La deterrenza nucleare implica che uno stato nazionale mantenga una credibile minaccia di ritorsione per scoraggiare l’attacco di un avversario. Ciò si basa su dimostrazioni di prontezza e capacità di utilizzare armi nucleari: una forma di bluff altamente pericolosa che, a sua volta, spinge le persone prese di mira ad aumentare i loro armamenti e la loro retorica. Attualmente stiamo assistendo a questo tipo di escalation tra diversi stati possessori di armi nucleari, che potrebbe sfociare in una guerra nucleare.

La deterrenza nucleare si basa sul fatto che i decisori si comportino sempre in modo razionale; anche se stati e partiti diversi valutano allo stesso modo valori, minacce e possibili conseguenze, i singoli leader non sempre si comportano in modo razionale. Durante le ultime settimane della sua presidenza, il comportamento di Richard Nixon fu così irregolare che James Schlesinger, il Segretario della Difesa, ordinò ai Capi di Stato Maggiore congiunti di ignorare qualsiasi ordine di utilizzare armi nucleari a meno che non fosse controfirmato da lui stesso e dal Segretario di Stato Henry Kissinger. Schlesinger non aveva l’autorità per farlo, e non è chiaro che le istruzioni sarebbero state eseguite se Nixon avesse ordinato l’uso di armi nucleari. Dopo la sconfitta elettorale del 2020, il comportamento di Donald Trump è stato così bizzarro da suscitare preoccupazioni simili nel generale Milley, presidente dei capi di stato maggiore congiunti. Ma i comportamenti preoccupanti non sono solo competenza dei leader statunitensi. Boris Eltsin, ad esempio, aveva un problema di alcol , e la recente retorica nucleare dei leader russi è stata, nella migliore delle ipotesi, preoccupante.

Tutti i leader sono capaci di prendere decisioni sbagliate, e lo stress di una crisi militare, durante la quale le decisioni potrebbero dover essere prese con un’intelligenza limitata o difettosa e in un arco di tempo molto compresso, aumenta la possibilità che un leader abbandoni la posizione razionale che le armi nucleari non dovrebbero mai essere usate e commettere un errore che sarebbe fatale per l’umanità.

Il presupposto generale della deterrenza nucleare è che l’esistenza delle armi nucleari possa continuare indefinitamente senza che nulla vada storto, portando all’aspetto più preoccupante della teoria: la mancanza di un piano B. Nelle parole di Melissa Parke, direttrice esecutiva della International Campaign to Abolish Nuclear Weapons (ICAN) , “La deterrenza nucleare potrebbe funzionare fino al giorno in cui non funzionerà più”. Cosa succede quando la deterrenza nucleare fallisce? Il problema è che è impossibile creare un piano per quel giorno. Il Comitato Internazionale della Croce Rossa (CICR) avverte dal 1945 che non può esserci una risposta umanitaria adeguata nemmeno a una singola esplosione di armi nucleari, per non parlare delle centinaia o migliaia che potrebbero essere utilizzate nei conflitti odierni. Contrariamente alla logica irrealistica della deterrenza, molte organizzazioni mediche e altri gruppi della società civile, compresi quelli di cui facciamo parte, sostengono, spesso da decenni, che la prevenzione è l’unica opzione praticabile.

La tesi secondo cui la deterrenza nucleare ha mantenuto il mondo al sicuro è semplicemente sbagliata. Numerosi incidenti ravvicinati e quasi incidenti suggeriscono fortemente il contrario. Dalle analisi accademiche a un semplice elenco di incidenti noti solo negli Stati Uniti, il messaggio è chiaro: siamo stati fortunati, piuttosto che intelligenti. Come ha affermato il segretario generale delle Nazioni Unite António Guterres alla decima conferenza di revisione del trattato di non proliferazione nucleare del 2022, “la fortuna non è una strategia”.

Gli incidenti sfiorati e i quasi incidenti non hanno ancora portato alla guerra nucleare. Ma le armi nucleari sono state la causa della sofferenza umana per decenni. Oltre agli orrori di ciò che è accaduto a Hiroshima e Nagasaki , le armi nucleari hanno già danneggiato milioni di persone nel processo di sviluppo e test. In modo devastante, i governi detentori di armi nucleari hanno danneggiato i propri popoli, come il popolo del Kazakistan e degli Stati Uniti, e coloro a cui sono state affidate le cure, come gli indigeni dell’Australia, come i popoli indigeni dell’Australia, delle Isole Marshall, di Kiribati e Maohi Nui (Polinesia francese). Queste conseguenze umanitarie hanno fornito l’impulso all’azione prevista dagli articoli 6 e 7 del TPNW e da una risoluzione sulla giustizia nucleare recentemente adottata dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite. Solo nel 2022, la spesa globale per le armi nucleari è stata di 83 miliardi di dollari , una somma che avrebbe potuto essere spesa meglio in programmi sociali e altre necessità. Tutti subiamo un danno quando i bisogni della società vengono ignorati a favore delle armi di distruzione di massa.

Ciò di cui il mondo ha bisogno per affrontare altre minacce esistenziali. Kallenborn ha ragione quando dice che il mondo deve affrontare altre minacce globali. E sebbene alcune di esse – proprio come le armi nucleari – abbiano il potenziale di spazzare via l’umanità, incluso l’impatto di un grande asteroide o l’emergere di una malattia infettiva, ciò che è completamente diverso nelle armi nucleari è che le abbiamo create noi, e possiamo quindi eliminarle. .

La maggior parte degli Stati nel mondo ha accesso alla conoscenza e moltissimi hanno accesso ai mezzi per costruire armi nucleari, ma non lo fanno. Questi stati si astengono dal farlo perché non vedono alcun valore nel possedere armi nucleari. Al contrario, riconoscono la minaccia posta dal possesso di armi nucleari. Inoltre, nell’ambito di qualsiasi piano di abolizione nucleare, anche attraverso il TPNW, dovrebbe essere messo in atto un processo verificabile per garantire che le armi nucleari esistenti siano state eliminate e che non ne vengano sviluppate di nuove, con un’autorità internazionale competente incaricata di questo processo chiave. È in corso un lavoro significativo sulla verifica attraverso il sistema di monitoraggio internazionale dell’Organizzazione del trattato sul divieto totale degli esperimenti nucleari ( IMS della CTBTO ), l’Agenzia internazionale per l’energia atomica ( AIEA ) e il gruppo consultivo scientifico ( SAG ) del TPNW, formato lo scorso anno.

L’eliminazione di tutte le armi nucleari e un simultaneo sistema internazionale di verifica e monitoraggio darebbero luogo a uno scenario molto migliore di quello in cui ci troviamo oggi. Anche una situazione ipotetica in cui una nazione imbrogliasse per fabbricare alcune armi dopo la loro totale eliminazione sarebbe molto meno pericolosa di quella in cui ci troviamo oggi con un attuale arsenale globale di circa 12.500 testate , che potrebbero distruggere il mondo ancora e ancora.

Il cambiamento climatico è, come la guerra nucleare, una minaccia esistenziale di grande urgenza, poiché i suoi effetti sono devastanti e potrebbero rendere inabitabili intere regioni del pianeta. In aggiunta a ciò, il cambiamento climatico sta già esacerbando i conflitti a causa dell’aumento della scarsità di cibo e dei disastri naturali che spostano le popolazioni e paralizzano le economie. Questi impatti peggioreranno con il tempo. Combinata con le armi nucleari, questa instabilità regionale e globale rappresenta senza dubbio la più grande minaccia per l’umanità, come il Bulletin ha ripetutamente chiarito con gli aggiustamenti orari del suo Doomsday Clock . Al momento della stesura di questo articolo, l’orologio segna solo 90 secondi a mezzanotte.

L’inverno nucleare si riferisce al fatto che anche una guerra nucleare regionale limitata, come quella tra India e Pakistan, scatenerà uno sconvolgimento climatico globale e una carestia catastrofica. Kallenborn allude a questa potenziale minaccia ma cerca di minimizzare l’importanza degli studi sull’inverno nucleare affermando che esiste una significativa differenza di opinioni su questo pericolo nella comunità scientifica. Si spinge anche oltre, avvertendoci che tali studi sono motivati ​​da “pregiudizi e programmi politici”. In effetti, l’unico studio recente del Laboratorio di Los Alamos che minimizza la portata del cambiamento climatico dovuto alla guerra nucleare potrebbe essere motivato da un’agenda diversa dalla scienza; questo studio è stato completamente confutato . Incredibilmente, Kallenborn propone che la risposta alla minaccia della carestia nucleare globale dovrebbe consistere nell’accumulare abbastanza cibo per nutrire miliardi di persone per diversi anni e cita l’esempio del tutto inappropriato del ponte aereo di Berlino del 1948 come il tipo di sforzo necessario.

La cooperazione globale, e non le minacce di annientamento, deve essere la base per affrontare tutte le minacce esistenziali. Viviamo su un bellissimo pianeta con una serie di sfide naturali e create dall’uomo che ci richiedono di allontanarci dai nostri atteggiamenti contro di loro e invece di cooperare collettivamente per raggiungere la sicurezza globale per tutti gli esseri umani nella nostra casa comune. A tal fine, non dobbiamo normalizzare i conflitti violenti sui campi di battaglia e le minacce di distruggerci a vicenda. Invece, la competizione tra stati dovrebbe essere riservata ai campi sportivi e di atletica, agli affari e al commercio, e al perseguimento di risultati scientifici e artistici.

La verità sul trattato sulla messa al bando del nucleare. Probabilmente, le più grandi falsità diffuse da Kallenborn ruotano attorno allo stesso TPNW. Innanzitutto, il trattato non è una soluzione rapida che porterà all’improvvisa abolizione delle armi nucleari nel vuoto. Piuttosto, il trattato è uno strumento che stabilisce una norma giuridica, che porterà ad un processo che porterà all’eliminazione delle armi nucleari. Il percorso da intraprendere per raggiungere questo obiettivo affronterà, di per sé, il problema dei conflitti tra grandi potenze e regionali, nonché del disarmo sicuro.

Si sostiene comunemente che la deterrenza nucleare abbia impedito lo scoppio di una guerra nucleare. Ma durante la Guerra Fredda siamo arrivati ​​più volte sull’orlo della guerra nucleare, anche durante la crisi missilistica cubana , e questa affermazione sulla deterrenza ignora completamente il ruolo degli accordi internazionali nel ridurre le tensioni e prevenire un conflitto nucleare. Il processo di creazione di strumenti di controllo degli armamenti e di disarmo stabilisce strutture per riconquistare fiducia e verifica. A questo proposito, l’ultimo decennio ha visto un’erosione dell’architettura del disarmo, ad eccezione del TPNW. Allo stato attuale, presto potremmo non avere più freni alla corsa agli armamenti.

Come afferma lo stesso Kallenborn, “il modo migliore per ridurre i rischi di una guerra nucleare è garantire in primo luogo che non accada mai”. Questa è proprio l’intenzione e la motivazione di tutti i 122 stati che hanno negoziato il TPNW nel 2017 e di un numero ancora maggiore di stati che da allora hanno votato a sostegno del trattato all’Assemblea generale delle Nazioni Unite. I nove possessori di armi nucleari e i loro alleati sono quelli che devono dimostrare che esiste una ragione convincente, o addirittura un diritto, per tenere il resto del mondo in ostaggio delle loro armi nucleari. Kallenborn afferma che se le armi nucleari verranno eliminate, le grandi potenze scateneranno la Terza Guerra Mondiale. Di fatto, il processo di eliminazione di queste armi creerà le condizioni necessarie per un rapporto più cooperativo tra le grandi potenze, eliminando la questione più pericolosa che le divide.

La verità sulla messa al bando del nucleare è enunciata nel testo del trattato stesso, ma anche nella Dichiarazione recentemente adottata che è stata il risultato del Secondo Incontro degli Stati Parte del TPNW, tenutosi a New York alla fine dell’anno scorso. La Dichiarazione evidenzia la ragion d’essere del divieto, nonché la via da seguire.

L’abolizione è l’unica strada ragionevole. Le armi nucleari e le attuali politiche sulle armi nucleari sono, nelle parole del defunto attivista per la pace e il disarmo nucleare Daniel Ellsberg, “vertiginosamente folli e immorali”. Mirare esclusivamente a ridurre il danno o la possibilità di danno che le armi nucleari potrebbero causare, piuttosto che far parte di un processo per abolirle, semplicemente non è sufficiente. Immaginate se gli oppositori della schiavitù avessero mirato non ad abolire la schiavitù, ma a rendere la vita un po’ migliore per le persone schiavizzate? In definitiva, la questione dell’abolizione del nucleare non è solo una questione morale, ma esistenziale. Se non aboliamo le armi nucleari, saranno loro ad abolire noi. John F. Kennedy lo affermò alle Nazioni Unite più di 60 anni fa. Diamo ascolto alle sue parole il più presto possibile e, in modo critico, prima che sia troppo tardi.


Ringraziamenti

The following individuals contributed significantly to the writing of this article:

  • Kati Juva, Physicians for Social Responsibility (PSR) Finland, IPPNW
  • Frank Boulton, Medact (IPPNW UK)

The following individuals endorse the views expressed in this article:

  • Michael Orgel, Medact Scotland & Medact UK Nuclear Weapons Group, Edinburgh
  • Timmon Wallis, NuclearBan.US
  • Hasse Schneidermann, Forbyd Atomvåben – ICAN in Denmark
  • Christian Ciobanu, NAPF and Reverse the Trend (RTT)
  • Alice Slater, World BEYOND War
  • Becker Raymond, Cercle Vivi Hommel, Luxembourg
  • Michele Di Paolantonio, AIMPGN Italian Medical Association for the Prevention of Nuclear War (IPPNW Italy)
  • Lisa Clark, Italian Peace and Disarmament Network
  • Kathleen Sullivan, Hiroshima Stories and NYCAN
  • Emily Welty, Pace University
  • Anastasia Shakhidzhanova, NAPF and Columbia University
  • Matthew Breay Bolton, Pace University
  • Spencer Graves, EffectiveDefense.org and PeaceWorks Kansas City
  • Gari Donn, UN House Scotland
  • Bill Kidd MSP, Scottish Parliament
  • Carol Gilbert, Grand Rapids Dominican Sister
  • Barbara Rose Johnston, Center for Political Ecology
  • Gerry Condon, Veterans For Peace, Golden Rule
  • John LaForge, Nukewatch
  • John Reuwer, PSR, World BEYOND War
  • Alan Robock, Rutgers University
  • Patrick Hiller, War Prevention Initiative
  • Donald A. Smith, PhD
  • David Hartsough, World Beyond War
  • Melissa Parke, ICAN
  • Steve Leeper, Peace Culture Village, Hiroshima
  • Carol Wolman, Voices for a Nuclear Free Future
  • David Swanson, World BEYOND War
  • Nicolas J. S. Davies, CODEPINK
  • Bobby Vaughn Jr, Investigative Journalist
  • Barbara Newsom, United Religions Initiative, Voices for a World Free of Nuclear Weapons
  • Jill Haberman, Peace & Justice Coordinator for Sisters of St. Francis of Assis, WI
  • Rosemary Field, Medact, UK
  • Jay Coghlan, Nuclear Watch New Mexico
  • Glenn Carroll, Nuclear Watch South
  • Ruth Mitchell, IPPNW
  • Susan Mirsky, MA Peace Action
  • Paul Andrews, Voices for a World Free of Nuclear Weapons
  • Tom Sauer, Universiteit Antwerpen, Belgium
  • Oda Andersen Nyborg, The Norwegian Peace Council
  • Diane Fine, MA 350
  • Lisa Fredrikson, Veterans For Peace
  • Veterans for Peace
  • Cynthia Lazaroff, Women Transforming Our Nuclear Legacy and NuclearWakeUpCall.Earth
  • Frank Bognar, NAPF
  • Kim Joy Bergier, Michigan Stop the Nuclear Bombs Campaign
  • Andrew S. Kanter, PSR and Columbia University
  • Linda Pentz Gunter, Beyond Nuclear
  • John Raby, Peace Action Maine
  • Michael Ramos, Voices for a World Free of Nuclear Weapons
  • Lynne Hall, Massachusetts Peace Action
  • Joni Arends, Concerned Citizens for Nuclear Safety, New Mexico
  • Ludo De Brabander, Vrede vzw (Belgian peace movement)
  • Carol E Green, Peace with Justice Committee, the Holston Conference of the United Methodist Church
  • Haruko Moritaki, Hiroshima Allians for Nuclear Weapons Abollition
  • WE Rotary Club of International Peace, TRUST Climate Action Strategists
  • Lynn Jamieson, Scottish Campaign for Nuclear Disarmament
  • Martin Fleck, PSR
  • Philip Webber, Scientists for Global Responsibility (UK)
  • Tom Vilmer Paamand, Aldrig Mere Krig – WRI Denmark
  • Hsin Yen Phoebe Mok, beHuman
  • Janet Fenton, Secure Scotland
  • Cletus Stein, Alliance for Nuclear Accountability
  • Sunny Robinson, public health nurse, retired.
  • Jack Cohen-Joppa, the Nuclear Resister
  • Felice Cohen-Joppa, the Nuclear Resister
  • Cherrill Spencer, DISARM/End Wars Committee of the Women’s International League for Peace and Freedom, US Section
  • Gar Smith, Environmentalists Against War
  • Kathleen Hamill, Mass Peace Action and NuclearBan.US
  • Helen Caldicott, PSR
  • Tomohiko Aishima, Soka Gakkai International (SGI)
  • Anna Ikeda, SGI and Voices for a World Free of Nuclear Weapons
  • John Hallam, People for Nuclear Disarmament
  • Tove Jensen, Demos, The Initiative for Peace
  • Angel Ballesteros, Justice and Peace Spain and University of Burgos
  • Claus Montonen, Technology for Life Finland, International Network of Engineers and Scientists for Global Responsibility
  • Hunter Peace Group NSW Australia
  • Martha Inés Romero, Pax Christi International
  • Fco. Javier Alonso, Comisión General Justicia y Paz de España
  • Maribel Hernández, Alianza por el Desarme Nuclear
  • Juliane Hauschulz, ICAN Germany and IPPNW Germany
  • Anthony Donovan, Veterans For Peace, Catholic Worker, War Resister League, Peace Action NY, Pax Christi NY, ICANW
  • Per Kristensen
  • Marian Losse, ICAN Deutschland
  • Mary T. Yelenick, Pax Christi International
  • Ranjith Jayasekera, Sri-Lanka Doctors for Peace and Development
  • Kenneth Chiu, NAPF
  • Elizabeth Waterston, Medact (IPPNW UK)
  • Ghassan Shahrour
  • Richard Krushnic, Massachusetts Peace Action, Mass Public Banking, Cambridge Residents Alliance, Boston Workers Circle
  • Seth Shelden, ICAN
  • Robert Kinsey, The Colorado Coalition for Prevention of Nuclear War
  • Linda Cataldo Modica, Catholic Committee of Appalachia TN Chapter
  • Linda Chapman, NYCAN & Youth Arts New York

Sempre a soli 90 secondi dalla fine

Un documento dal prof. Pascolini (Università di Padova) all’annuncio odierno del “Doomsday Clock”.

Quest’anno, il Comitato per la Scienza e la Sicurezza del Bulletin of the Atomic Scientists ha mantenuto le lancette dell’Orologio del Giorno del Giudizio (il Doomsday Clock) a soli 90 secondi dalla mezzanotte, il momento più vicino alla catastrofe globale fin dal 1947.

Il Doomsday Clock ci ricorda quanto sia delicato e incerto l’equilibrio che permette la sopravvivenza dell’umanità in presenza delle armi nucleari e di nuove destabilizzanti tecnologie nell’attuale fase dei cambiamenti climatici che condizionano la vita sul nostro pianeta: ogni anno dal 1947 segna quanto tempo rimane prima della mezzanotte antecedente al giorno del giudizio.

La prima indicazione all’inizio della guerra fredda (1947) fu di mezzanotte meno sette minuti; con l’acquisizione delle armi nucleari da parte dell’URSS (1949) le lancette vennero portate a 3 minuti da mezzanotte; un ulteriore aggravamento (e siamo a meno due minuti) si ha con lo sviluppo delle armi termonucleari (1953). Nel corso degli anni, a fronte dell’evoluzione del confronto nucleare fra le superpotenze e la proliferazione in altri paesi, l’orologio si è allontanato e avvicinato alla mezzanotte; il momento più sicuro si è avuto nel 1991 alla fine della guerra fredda (17 minuti da mezzanotte) per poi via via aggravarsi negli anni successivi per l’incapacità del mondo politico internazionale di superare il confronto nucleare e di affrontare le problematiche legate al cambiamento climatico globale, fino a raggiungere lo scorso anno la distanza estremamente pericolosa di soli 90 secondi.

Oggi, ancora una volta, abbiamo fissato l’Orologio del Giorno del Giudizio a 90 secondi dalla mezzanotte, perché l’umanità continua ad affrontare un livello di pericolo senza precedenti. La nostra decisione non deve essere interpretata come un segnale di alleggerimento della situazione della sicurezza internazionale. Al contrario, i leader e i cittadini di tutto il mondo dovrebbero prendere questa dichiarazione come un avvertimento crudo e rispondere con urgenza, come se oggi fosse il momento più pericoloso della storia moderna. Perché potrebbe esserlo.

Di seguito i contenuti principali del documento presentato il 23 gennaio (https://thebulletin.org/doomsday-clock/current-time/).

Le molte dimensioni della minaccia nucleare

Una risoluzione duratura della guerra russa in Ucraina appare distante e l’uso di armi nucleari in tale conflitto da parte della Russia rimane una seria possibilità. La situazione è aggravata dall’installazione di armi nucleari tattiche in Bielorussia e dalla “sospensione” russa dal trattato New Start e dal suo “ritiro” della ratifica del trattato per il bando dei test nucleari (CTBT), mentre gli Stati Uniti neppure discutono la possibilità della loro ratifica.

L’ultimo anno è stato caratterizzato da relazioni difficili tra le maggiori potenze nucleari – Cina, Russia e Stati Uniti – impegnate in vigorosi programmi di modernizzazione nucleare che minacciano di scatenare una triplice corsa agli armamenti nucleari, mentre l’architettura mondiale del controllo degli armamenti continua a crollare.

L’Iran continua ad arricchire l’uranio fino ad avvicinarsi al grado necessario per un’arma, mentre gli sforzi per ripristinare l’accordo sul nucleare iraniano sembrano destinati all’insuccesso, anche per la crescente reciproca ostilità fra gli USA e l’Iran.

Il programma nucleare della Corea del Nord continua ad avanzare costantemente in parallelo allo sviluppo di missili a lunga e lunghissima gittata. In risposta, la Corea del Sud ha chiesto un maggiore impegno nucleare americano per la sua difesa, cosa che potrebbe non bastare a placare l’appetito della Corea del Sud per una propria forza deterrente.

India e Pakistan continuano ad accumulare armi nucleari e sistemi di lancio. Le prospettive per la cooperazione e la riduzione delle minacce nella regione rimangono desolanti.

La guerra a Gaza tra Israele e Hamas ha il potenziale di degenerare in un più ampio conflitto mediorientale che potrebbe rappresentare una minaccia imprevedibile a livello regionale e globale.

Le inquietanti prospettive del cambiamento climatico

Il mondo nel 2023 è entrato in un “territorio inesplorato” per quanto riguarda gli impatti climatici. L’anno scorso è stato il più caldo mai registrato, con condizioni estreme – tra cui incendi massicci, inondazioni su larga scala e ondate di calore prolungate – e il ghiaccio marino antartico ha raggiunto la minima estensione dall’avvento dei dati satellitari, circa 2,67 milioni di chilometri quadrati al di sotto della media 1991-2023.

Inoltre, la maggior parte delle perdite di vite umane (oltre il 90%) e la maggior parte delle perdite economiche (si stima il 60%) in tutto il mondo a causa di disastri legati alle condizioni meteorologiche si è verificata nei paesi in via di sviluppo, evidenziando l’iniqua distribuzione degli impatti climatici.

Le emissioni globali di gas serra hanno continuato ad aumentare, raggiungendo il record di 57,5 miliardi di tonnellate di anidride carbonica equivalente. Il mondo rischia di superare già entro il 2027 l’obiettivo dell’accordo di Parigi sul clima (mantenersi sotto 1,5 °C sopra i livelli pre-industriali) a causa dell’insufficiente impegno a ridurre le emissioni di gas serra. Per arrestare l’ulteriore riscaldamento, il mondo deve raggiungere emissioni nette di anidride carbonica pari a zero.

Oltre a questi fattori preoccupanti, è incoraggiante il fatto che nel mondo si stiano registrando investimenti record e in crescita nelle energie rinnovabili, superando quelli per combustibili fossili, ma nonostante tali segnali di speranza, per arrestare l’ulteriore riscaldamento l’economia mondiale deve raggiungere emissioni nette di anidride carbonica pari a zero, e prima lo si farà, minore sarà la sofferenza umana dovuta agli sconvolgimenti climatici.

Evoluzione crescente delle minacce biologiche

La rivoluzione delle scienze della vita e delle tecnologie associate è in continua espansione, soprattutto grazie all’aumento dell’efficienza delle tecniche di ingegneria genetica. La convergenza degli strumenti emergenti di intelligenza artificiale e delle tecnologie biologiche potrebbe fornire informazioni che consentirebbero a stati, gruppi subnazionali e attori non statali (anche privi di sufficienti competenze) di creare agenti biologici più dannosi e trasmissibili.

Organizzazioni terroristiche continuano a perseguire agenti e armi biologiche e gli eventi attuali aumentano la preoccupazione per il possibile uso di agenti biologici da parte di gruppi terroristici in Medio Oriente e altrove.

Altri due tipi di rischi biologici continuano a destare preoccupazione: il rilascio accidentale di organismi dai laboratori e le malattie infettive che si verificano naturalmente, soprattutto quelle con potenziale pandemico. La deforestazione, l’urbanizzazione e i cambiamenti climatici continuano a destabilizzare le relazioni microbo-ospite e a facilitare l’emergere di malattie infettive. Con l’aumento del numero di laboratori e della quantità di ricerche rischiose e con l’incapacità di standardizzare le pratiche di laboratorio sicure e di istituire un’adeguata supervisione della ricerca, il rischio di rilascio accidentale di agenti patogeni pericolosi si sta aggravando.

I pericoli dell’intelligenza artificiale (AI) e di altre tecnologie dirompenti

Uno degli sviluppi tecnologici più significativi dell’ultimo anno ha riguardato il drammatico progresso dell’intelligenza artificiale generativa. Se alcuni autorevoli esperti esprimono preoccupazione per rischi esistenziali derivanti da ulteriori rapidi progressi nel settore, altri concentrano l’attenzione sulle minacce reali e immediate che l’AI pone.

L’AI è una tecnologia chiaramente dirompente e i recenti sforzi per una governance globale dell’AI dovrebbero essere ampliati.

Il caos, il disordine e le disfunzioni crescenti nel nostro ecosistema informativo minacciano la democrazia e la nostra capacità di affrontare sfide difficili, ed è evidente che l’AI ha un grande potenziale per accelerare enormemente questi processi di corruzione e deformazione delle informazioni. La corruzione dell’ambiente dell’informazione, abilitata dall’AI, potrebbe essere un fattore importante per impedire al mondo di affrontare efficacemente altre minacce urgenti, come la guerra nucleare, le pandemie e il cambiamento climatico.

L’uso dell’intelligenza artificiale e di altre tecnologie informatiche, combinate con vari sensori per l’analisi in tempo reale, ha accelerato la capacità dei regimi autoritari di monitorare le attività dei cittadini, di reprimere e perseguitare i dissidenti, di censurare ciò che i cittadini sono in grado di vedere e ascoltare e di manipolare l’opinione pubblica.

Gli usi militari dell’AI stanno accelerando nei settori dell’intelligence, della sorveglianza, della ricognizione, della simulazione e dell’addestramento. Particolarmente preoccupanti sono le armi autonome letali, che identificano e distruggono obiettivi senza l’intervento umano. La decisione di affidare all’AI il controllo di importanti sistemi fisici, in particolare le armi nucleari, potrebbe rappresentare una minaccia esistenziale diretta per l’umanità. Ma si tratta comunque di decisioni umane sbagliate.

Fortunatamente, molti paesi stanno riconoscendo l’importanza di regolamentare l’AI e stanno iniziando a prendere provvedimenti per ridurne il potenziale dannoso. Ma si tratta solo di piccoli passi; molto di più deve essere fatto per istituire regole e norme efficaci, nonostante le sfide scoraggianti che comporta la regolamentazione dell’intelligenza artificiale.

Se da un lato la rapida proliferazione di piccoli satelliti promette un maggiore accesso a un Internet non censurato e una maggiore resistenza agli attacchi, dall’altro si assiste a una crescente belligeranza tra Stati Uniti, Russia e Cina nello spazio.

Alcuni attori del settore privato esercitano potere e influenza attraverso il controllo di tecnologie dirompenti come i social media, l’intelligenza artificiale e l’accesso ai fornitori di servizi Internet dallo spazio. Una governance appropriata di queste tecnologie è un aspetto essenziale per gestire il loro sorgere e crescere.

Come riportare indietro l’orologio

Tutti sulla Terra hanno interesse a ridurre la probabilità di catastrofi globali causate da armi nucleari, cambiamenti climatici, progressi nelle scienze della vita, tecnologie dirompenti e corruzione diffusa dell’ecosistema informativo mondiale. Queste minacce, singolarmente e in quanto interagiscono, hanno un carattere e una portata tali che nessuna nazione o leader può tenerle sotto controllo. Questo è il compito dei leader e delle nazioni che lavorano insieme nella convinzione comune che le minacce comuni richiedano un’azione comune.

Come primo passo, e nonostante i loro profondi disaccordi, le tre principali potenze mondiali – Stati Uniti, Cina e Russia – dovrebbero avviare un serio dialogo su ciascuna delle minacce globali qui delineate. Questi tre Paesi devono assumersi ai massimi livelli la responsabilità del pericolo esistenziale che il mondo si trova ad affrontare. Hanno la capacità di riportare il mondo dall’orlo della catastrofe. Dovrebbero farlo, con chiarezza e coraggio, e senza indugio. Mancano solo 90 secondi alla mezzanotte.

Alessandro Pascolini – Padova 23 gennaio 2024


Qua il comunicato dal Bulletin of the Atomic Scientists

IL DIRITTO UNIVERSALE ALLA SALUTE RICHIEDE LA PACE E RIFIUTA LA GUERRA

(Dall’Associazione Italiana di Epidemiologia un appello a cui possono aderire le Associazioni scientifiche/ sanitarie o i singoli operatori della sanità)

Dichiarazione in favore della pace delle società scientifiche sanitarie

Associazione Italiana di Epidemiologia
17-11-2023

In qualità di società scientifiche di area sanitaria, dati i nostri obblighi professionali incentrati sulla tutela e la promozione della salute, sentiamo urgente la necessità di esprimerci pubblicamente e congiuntamente a favore della pace e contro la guerra in tutte le aree del pianeta.

Gli scontri armati hanno continuato in questi anni a martoriare molti paesi: nel 2022 si è registrato il più alto numero di conflitti armati dalla fine della seconda guerra mondiale e ora, nel 2023, questa tendenza si conferma drammaticamente in un’ulteriore spirale di violenza che coinvolge non solo Ucraina e Medio Oriente, ma anche numerosi altri luoghi, in assenza di iniziative efficaci a favore di soluzioni diplomatiche e nonviolente.

Partendo dai principi etici e umanitari di difesa della salute che caratterizzano le nostre professioni, riteniamo che non vi siano mai giustificazioni all’uso della guerra per risolvere le controversie tra i popoli, come esplicitamente affermato dalla Costituzione italiana1 e dalla Carta delle Nazioni Unite,2 che rifiuta la dottrina della ‘guerra giusta’.

Condividiamo e riaffermiamo con forza quanto sostenuto dalla Carta di Ottawa,3documento a cui la comunità di sanità pubblica internazionale si ispira, secondo cui la pace è il primo dei prerequisiti fondamentali per la salute. Solo in seconda battuta vengono elencati l’abitazione, l’istruzione, il cibo, un reddito, un ecosistema stabile, le risorse sostenibili, la giustizia sociale e l’equità. Tutti fattori egualmente compromessi o distrutti dalla guerra, con effetti che perdurano ben oltre la cessazione delle ostilità.

Constatiamo che l’uso bellico delle tecnologie attualmente disponibili fa sì che i conflitti armati si caratterizzino immancabilmente per:

  • mancanza di limiti spaziali, temporali e giuridici;
  • impossibilità di discriminare tra obiettivi militari e civili (comprese le strutture sanitarie);
  • violazione delle leggi umanitarie internazionali;
  • effetti negativi per la salute umana, a breve, medio e lungo termine;
  • forte impatto negativo sulle persone più giovani e le generazioni future;
  • effetti negativi sulla sicurezza alimentare;
  • danni ambientali e dell’ecosistema, con ulteriore accelerazione della crisi climatica.

A ciò si affiancano le crescenti minacce di utilizzo di ordigni nucleari, che generano un rischio talmente grave per la salute delle popolazioni, che le più importanti riviste mediche internazionali hanno sentito il dovere di pubblicare congiuntamente un editoriale4 con cui invitavano le associazioni delle professioni sanitarie di tutto il mondo a informare i propri membri e a sostenere ogni sforzo per ridurre i rischi di una guerra nucleare, compresi quelli determinati da errori e da azioni non intenzionali.

Le nostre richieste e il nostro impegno

In questo contesto riteniamo che la comunità scientifica sanitaria debba far sentire la propria voce a favore dell’interruzione di tutte le guerre in atto e della prevenzione di quelle future, attraverso la ricerca di soluzioni nonviolente efficaci, che intervengano sulle cause alla base dei conflitti, in coerenza con gli obblighi deontologici e con l’Iniziativa Globale per la Pace e la Salute dell’Organizzazione mondiale della sanità.5

Prevenire e contrastare i conflitti implica sostenere il rafforzamento delle infrastrutture di peacekeeping e peacebuilding delle Nazioni Unite e richiedere la riduzione delle spese militari, reindirizzando le risorse verso obiettivi di benessere sociale, di salute e di promozione dell’universalismo dei sistemi sanitari.

Quanto al rischio di conflitti nucleari, chiediamo al governo italiano di garantire la propria partecipazione ai prossimi incontri delle Nazioni Unite sul Trattato sulla proibizione delle armi nucleari,6 con il fine ultimo di firmarlo e ratificarlo.

Contestualmente, chiediamo ai decisori di mettere in atto – e all’opinione pubblica di sostenere – interventi concreti, quali la protezione del personale, delle strutture e dei servizi dei sistemi sanitari dei paesi colpiti dalla guerra, e l’accoglienza delle persone che fuggono da aree di conflitto.

Come uomini e donne che operano per la salute, a noi competono alcuni compiti specifici:

  • contribuire alla descrizione quantitativa degli effetti diretti e indiretti della guerra sulla salute;
  • approfondire le relazioni complesse che legano la guerra ad altri eventi, a loro volta fattori di rischio per la salute, quali migrazioni, carestie, alterazioni degli ecosistemi;
  • elaborare strategie di prevenzione e di mitigazione dei danni alla salute prodotti dall’insieme di fattori che precedono e seguono i conflitti;
  • informare e responsabilizzare la popolazione e i decisori sulle strategie di contrasto più efficaci.

Le associazioni firmatarie di questa dichiarazione si impegnano a proseguire nel lavoro su questi temi e in questi ambiti, in adempienza dei propri doveri etici e deontologici.

Referenze

  1. Costituzione italiana, art. 11. https://www.senato.it/istituzione/la-costituzione/principi-fondamentali/articolo-11
  2. UN Charter, vd. Preambolo e art. 51 https://www.un.org/en/about-us/un-charter
  3. https://www.who.int/teams/health-promotion/enhanced-wellbeing/first-global-conference4 Reducing the Risks of Nuclear War—The Role of Health Professionals.
  4. JAMA 2023;330(7):601-602. https://jamanetwork.com/journals/jama/fullarticle/2807921
  5. WHO Global Health and Peace Initiative (GHPI) https://www.who.int/initiatives/who-health-and-peace-initiative
  6. Treaty on the Prohibition of Nuclear Weapons (TPNW) https://disarmament.unoda.org/wmd/nuclear/tpnw/

Questo documento è stato costruito in forma partecipata su iniziativa dell’Associazione italiana di epidemiologia e della rivista Epidemiologia & Prevenzione. Hanno partecipato alla discussione e alla stesura del testo anche altre Associazioni scientifiche; è possibile ripercorrere l’intero iter di produzione del documento cliccando qui; altri materiali sono disponibili qui.

Invitiamo tutte le Società/Associazioni scientifiche sanitarie a firmare il documento

Per farlo occorre inviare la propria adesione al seguente indirizzo mail: direzione.aie.ep@inferenze.it

Anche i singoli operatori/operatrici della sanità possono firmare.


(N.d.R.: per l’adesione riportiamo alla pagina originale della rivista EPIDEMIOLOGIA &. PREVENZIONE dove sono elencati i soggetti e le Organizzazioni già firmatarie)