Trattato CFE e sicurezza comune, addio

L’analisi del prof. Pascolini parte dalle origini del Trattato e fino all’ultimo atto di ritiro da parte della Russia.

“Se n’è andato un altro pezzo dell’architettura di accordi che hanno reso piena di speranze la breve stagione della fine della guerra fredda. Il Trattato sulle armi convenzionali in Europa era già malandato da un pezzo e la sua fine prevista da mesi, ma l’atto finale lascia comunque l’amaro in bocca.”

 

Il 7 novembre si sono compiuti i tempi previsti per la procedura di ritiro della Russia dal Trattato sulle forze armate convenzionali in Europa (CFET), in vigore dal 9 novembre 1992; al contempo, la Russia si è ritirata da altri due accordi indissolubilmente legati al CFET: l’Accordo di Budapest (3 novembre 1990) e il Flank Document del 31 maggio 1996. Il primo venne concluso per determinare i livelli di armi convenzionali per ciascuno dei partecipanti all’allora Patto di Varsavia, mentre il secondo è servito a risolvere temporaneamente il problema delle restrizioni sulle zone europee periferiche, sorto in relazione alla cessazione dell’Unione Sovietica.

I 22 membri della NATO parte del trattato (Belgio, Bulgaria, Canada, Repubblica Ceca, Danimarca, Francia, Germania, Grecia, Ungheria, Islanda, Italia, Lussemburgo, Paesi Bassi, Norvegia, Polonia, Portogallo, Romania, Slovacchia, Spagna, Turchia, Regno Unito e Stati Uniti) e la Svezia hanno immediatamente preso atto della decisione russa e, a loro volta, hanno sospeso completamente l’attuazione del trattato a partire del 7 dicembre.

Il trattato era già estremamente indebolito: Mosca aveva sospeso l’attuazione del CFET il 12 dicembre 2007 e aveva smesso di partecipare alle riunioni settimanali del Gruppo consultivo misto l’11 marzo 2015. I firmatari della NATO avevano sospeso l’attuazione del trattato con la Russia il 22 novembre 2011, ma avevano continuato ad applicarlo con altre sette parti: Armenia, Azerbaigian, Bielorussia, Georgia, Kazakistan, Moldavia e Ucraina.

Ora un altro grande trattato di controllo degli armamenti ereditato dal secolo scorso ha seguito la sorte funesta degli altri importanti accordi su questioni chiave del disarmo messi a punto quando sembrava possibile la formazione di una nuova architettura di sicurezza globale ed europea basata sulla cooperazione.

 

Il Trattato sulle forze armate convenzionali in Europa

Il Trattato CFE fu negoziato e concluso durante gli ultimi anni della Guerra fredda e stabilì limiti globali su categorie chiave di equipaggiamento militare convenzionale in Europa, imponendo la distruzione degli armamenti in eccesso. Il trattato proponeva limiti uguali per i due “gruppi di stati-parte”, la NATO e il Patto di Varsavia.

Il negoziato del CFET venne condotto nella cornice dei fini della Conferenza sulla sicurezza e la cooperazione in Europa (CSCE), che portò all’Atto finale di Helsinki del 1975 comprendente disposizioni per il rispetto della sovranità e dell’integrità territoriale dei trentacinque firmatari, per la promozione del commercio e per la tutela dei diritti umani. I paralleli negoziati sulla Riduzione reciproca ed equilibrata delle forze (MBFR) invece si protrassero dal 1973 senza successo, fino al blocco da parte sovietica nel 1979 a seguito della decisione della NATO di introdurre in Europa missili a gittata intermedia.


Nel 1986, Mikhail Gorbaciov propose, nel contesto dei negoziati MBFR, di ridurre le forze terrestri e aeree, includendo le armi convenzionali e nucleari “dall’Atlantico agli Urali”. I negoziati per stabilizzare l’equilibrio militare convenzionale in Europa iniziarono nel gennaio 1989 e portarono alla firma del CFET il 19 novembre 1990.

Il preambolo del CFET ne precisa “gli obiettvi: realizzare un equilibrio sicuro e stabile delle forze armate convenzionali in Europa a livelli più bassi di quelli sinora esistenti, eliminare disparità pregiudizievoli per la stabilità e la sicurezza, e impedire, in via altamente prioritaria, la capacità di lanciare attacchi di sorpresa e di avviare azioni offensive su larga scala in Europa”. A tal fine i quantitativi totali degli armamenti convenzionali in Europa vengono limitati a 40.000 carri armati, 40.000 pezzi di artiglieria, 60.000 veicoli corazzati da combattimento, 13.600 aerei da combattimento e 4.000 elicotteri d’attacco, divisi ugualmente fra le due parti.

Oltre alla riduzione delle forze armate e alla loro distribuzione in precise zone territoriali, il trattato impone alle parti:

  1. scambiarsi annualmente informazioni militari, tra cui l’organizzazione e la geolocalizzazione delle forze armate di ciascun paese, dal livello del ministero della difesa fino ai battaglioni separati, nonché le dotazioni di ciascuna unità di carri armati, mezzi corazzati, pezzi di artiglieria, aerei da combattimento ed elicotteri d’attacco;
  2. notificare gli aggiornamenti relativi a dispiegamenti militari significativi in entrata, in uscita o all’interno della zona di applicazione del trattato;
  3. richiedere e accettare ispezioni;
  4. partecipare alle riunioni del Gruppo consultivo misto creato a Vienna.

L’esito di questi negoziati è stato parallelo a cambiamenti epocali, in quanto la Germania era in fase di riunificazione, il Patto di Varsavia si stava sgretolando e la Lituania stava guidando l’uscita delle repubbliche baltiche dall’Unione Sovietica. Per complicare ulteriormente le cose, lo Stato maggiore sovietico cercava di proteggere i suoi investimenti con misure contabili creative e ritiri anticipati, azioni che Gorbaciov sembrava difficilmente in grado di controllare. Il Trattato CFE non fu completato prima di dover essere rivisto per tener conto del crollo dell’Unione Sovietica (26 dicembre 1991).

Una revisione del trattato si rendeva necessaria per adattarlo alla nuova situazione geopolitica, ma, come dichiarò la Russia il 12 dicembre 2007, motivando il suo ritiro, “il Trattato, firmato durante la Guerra fredda, ha smesso da tempo di rispondere alle realtà europee contemporanee e ai nostri interessi di sicurezza. La sua versione adattata non è potuta entrare in vigore da otto anni a causa della posizione dei paesi della NATO che hanno legato la sua ratifica al soddisfacimento da parte della Russia di requisiti inverosimili che non hanno nulla a che fare con il Trattato CFE. Inoltre, hanno intrapreso una serie di passi incompatibili con la lettera e lo spirito del Trattato, minando gli equilibri che ne sono alla base.”

Il bilancio del Trattato CFE è comunque positivo, avendo agevolato una trasformazione non traumatica della situazione politica europea e portato allo smantellamento di 52.000 pezzi di importanti equipaggiamenti militari, consentendo al contempo oltre 4.000 ispezioni.

Inoltre, come ricorda la Russia nel comunicato del 7 novembre, “anche dopo un brusco cambiamento della situazione geopolitica e geostrategica – la fine del Patto di Varsavia e poi dell’Unione Sovietica – quando la Russia è stata costretta a ridurre e riformare le proprie forze armate, e allo stesso tempo a combattere il terrorismo, il Trattato le ha fornito garanzie materiali di sicurezza. Ad esempio, il Trattato CFE ha permesso di rendere il processo di riduzione delle forze non unilaterale, ma reciproco, coinvolgendo i paesi della NATO, in primis la Germania; il potenziale militare totale degli allora membri dell’alleanza è stato in qualche modo limitato e messo sotto controllo. Tutto ciò ha permesso alla Russia di utilizzare più liberamente le forze armate per risolvere il compito prioritario di garantire la sicurezza interna e l’integrità territoriale e di combattere il separatismo e l’estremismo.”

 

La sicurezza comune

Il trattato CFE trova la sua origine nello “sforzo di sostituire la confrontazione militare con un nuovo modello di relazioni di sicurezza fra tutti gli stati basato sulla cooperazione pacifica e in tal modo di contribuire al superamento della divisione dell’Europa”. Il modello cui fa riferimento era stato messo a punto dalla Commissione indipendente sul disarmo e le questioni di sicurezza, presieduta dall’ex primo ministro svedese Olof Palme, che introdusse nel linguaggio del dibattito internazionale il nuovo concetto di “sicurezza comune”, termine scelto come titolo del suo primo rapporto, presentato il 25 aprile 1982.

L’idea di base della sicurezza comune non è complessa. È che nessun paese può ottenere la sicurezza, nel lungo periodo, semplicemente prendendo decisioni unilaterali sul proprio dispiegamento militare. Questo perché la sicurezza dipende anche dalle azioni e dalle reazioni dei potenziali avversari. La sicurezza deve essere trovata in comune con questi avversari: “gli stati non possono più cercare la sicurezza a spese degli altri; essa può essere ottenuta solo attraverso impegni di cooperazione”. Secondo la Commissione, la sicurezza è condivisa, non un gioco “a somma zero”.

La commissione, composta di 17 personalità politiche di alto livello (al momento non al governo) di diversi contesti nazionali e politici (con una cultura prevalentemente social-liberale) dall’Est e dall’Ovest, dal Nord e dal Sud, fu lanciata a Vienna nel settembre 1980 e fino al 1982 si incontrò 12 volte in varie capitali mondiali, con l’obiettivo di “portare nuove idee e pensieri sul tema del disarmo”.

Negli anni successivi alla pubblicazione del rapporto, l’idea di una sicurezza comune e di una “difesa non offensiva” si è diffusa attraverso diversi canali e in forme differenti in diversi paesi dell’Europa occidentale, negli Stati Uniti, a regioni come l’Asia-Pacifico e all’Unione Sovietica.

A livello nucleare, la sicurezza comune ha prodotto un’alternativa concettuale alla deterrenza nucleare reciproca e alle sue controverse versioni di effettivo impiego bellico “limitato”. A livello convenzionale, la difesa non offensiva offriva una via d’uscita dal dilemma della sicurezza in una serie di situazioni difficili come, appunto, l’Europa centrale, la penisola coreana e la linea di confine russo-cinese-indiana.

La Commissione sottolineava l’importanza delle Nazioni Unite e proponeva un’ampia gamma di misure di disarmo, controllo degli armamenti e rafforzamento della fiducia (CBM), compresa l’adozione di politiche militari meno minacciose. Infine, ha introdotto l’idea emergente secondo cui il problema della sicurezza non dovrebbe limitarsi alle sfide militari alla sicurezza dello stato, ma dovrebbe includere minacce non tradizionali alla popolazione e all’ambiente.

Ora, l’atto formale della cessazione del trattato FCE ci ricorda che si è andato dissolvendo nelle relazioni internazionali lo spirito della sicurezza comune, che non si ritrova più nella politica del tempo presente, in cui, particolarmente le grandi potenze (ma non solo quelle) cercano una propria sicurezza basata su termini di forza, armamenti nucleari ma anche convenzionali avanzati, superando la stessa postura della deterrenza in una rischiosissima corsa alla ricerca di chimeriche posizioni di superiorità militare.

 

Alessandro Pascolini – Università di Padova

16 novembre 2023


Nota: le immagini sono tratte dalla sezione “Guerra Fredda” nel sito www.educolor.itImmagini educative e fotografie

Al Segretario Generale delle Nazioni Unite

Pubblichiamo qui tradotto il messaggio inviato al Segretario Generale delle Nazioni Unite Guterres dai co-Presidenti di IPPNW Dr. Carlos Umana, Dr. Kati Juva e David Onazi, a supporto del discorso tenuto lo scorso 13 ottobre al Consiglio di Sicurezza. Il documento ufficiale è allegato in fondo alla pagina.


Egregio Signor Segretario Generale Guterres,
28 ottobre 2023

Vi scriviamo in qualità di co-presidenti della nostra organizzazione Premio Nobel per la Pace per esprimere il nostro sincero sostegno al vostro eccellente discorso del 13 ottobre al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. Era equilibrato e, pur esponendo il contesto, lei ha anche chiaramente respinto tale contesto come giustificazione per gli “spaventosi attacchi” del 7 ottobre da parte di Hamas contro cittadini israeliani. Lei ha detto che questi attacchi, tuttavia, non giustificano una punizione collettiva del popolo palestinese.

La cosa più importante è che desideriamo mostrare solidarietà a tutte le persone, come voi, che stanno dalla parte dei cittadini che soffrono le terribili conseguenze della guerra, comunque sia avvenuta. Come medici, è nostro dovere, innanzitutto, che non sia arrecato alcun danno. Il Diritto Internazionale umanitario, nato per l’opera di un’organizzazione medica – la Croce Rossa – estende questo principio a tutta la condotta bellica. I cittadini non devono essere colpiti. Il nostro lavoro come operatori sanitari per aiutare i cittadini in pericolo non deve essere reso impossibile dalla minaccia di bombe che cadono sul nostro luogo di intervento, dalla mancanza di carburante per far funzionare l’elettricità per le nostre attrezzature o per pompare acqua per mantenere in vita i nostri pazienti. Come ben sapete, mentre le bombe radono al suolo Gaza, compresi i centri sanitari, le scuole e i rifugi delle Nazioni Unite, le persone muoiono a causa degli effetti di un blocco disumano che ucciderà coloro che non saranno colpiti per primi dalle bombe.

Non possiamo restare a guardare questo massacro, anche se sosteniamo fermamente la richiesta di ritorno a casa degli ostaggi. Bloccare e radere al suolo Gaza non è il modo per riavere gli ostaggi, né impedirà simili attacchi in futuro. Al contrario, potrebbe alimentare il terrorismo altrove, così che Israele non sarà mai al sicuro e non vivrà mai in pace. Il nostro obiettivo deve essere la pace, la salute e la sicurezza di tutte le persone.

Applaudiamo pertanto alla risoluzione approvata ieri sera dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite per una tregua umanitaria a Gaza.

Grazie per le vostre parole coraggiose e grazie alle Nazioni Unite e alle sue organizzazioni per tutto quello che state facendo. Siamo al vostro fianco.

Dr. Carlos Umana, Dr. Kati Juva and David Onazi

Co-Presidents.
International Physicians for the Prevention of Nuclear War (IPPNW)

 


Nuova guerra in Medio Oriente. Comunicato congiunto da IPB – METO – IPPNW

L’International Peace Bureau (IPB), Middle East Treaty Organization (METO) e International Physicians for the Prevention of Nuclear War (IPPNW) sono profondamente preoccupate per l’escalation di violenza israelo-palestinese senza precedenti lanciata la mattina di sabato 7 ottobre, che ha già provocato la perdita di centinaia di vite. La paura, il panico e l’incertezza che i cittadini israeliani e palestinesi provano in questi momenti richiedono la nostra compassione e comprensione, anche se la misura in cui il conflitto si intensificherà rimane poco chiara.”

Inizia così il comunicato congiunto che le tre Organizzazioni internazionali hanno rivolto alla comunità mondiale, dopo l’improvviso accendersi del conflitto che sta insanguinando le terre e le popolazioni di Israele e della Palestina. E prosegue:

“Il bilancio delle vittime non può continuare a salire. I firmatari di questa dichiarazione chiedono quindi un’immediata attenzione globale per allentare il conflitto e fornire assistenza umanitaria sul campo. Inoltre, invitiamo la comunità internazionale a sostenere la cessazione immediata degli attacchi, dei rapimenti di civili e degli attacchi alle infrastrutture non militari. Il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite deve essere all’altezza delle responsabilità previste dalla sua Carta per il mantenimento della pace e della sicurezza internazionale. Dovrebbe urgentemente chiedere a tutte le parti di fermare la violenza e di rispettare e proteggere la vita dei civili, in particolare dei bambini.”

“Non esiste una soluzione militare alla multiforme e complessa crisi tra Israele e Palestina; riconosciamo la profonda sofferenza dei palestinesi e degli israeliani anche sotto lo status quo, compresa la violenza dei coloni, gli attacchi terroristici, la violenza economica e un costante ambiente di paura in caso di violazione del diritto internazionale. Le radici del conflitto sono profonde e possono essere affrontate soltanto quando non è presente violenza immediata e diretta.”

L’appello quindi coinvolge entrambe le parti del conflitto, entrambe responsabili della violenza sui civili. E rivolgendosi in particolare alla Lega degli Stati Arabi per impegnarsi in negoziati sulla base della Arab Peace Initiative.

Esige quindi:

  • Una cessazione immediata della violenza, in particolare degli attacchi contro le infrastrutture civili;
  • Lo scambio immediato di ostaggi e prigionieri per motivi umanitari;
  • La creazione di un corridoio umanitario per il passaggio sicuro dei servizi di emergenza e degli aiuti;
  • La comunità internazionale, in particolare la Lega degli Stati arabi, all’impegno in negoziati basati sull’Arab Peace Initiative (API), l’unica soluzione globale al conflitto arabo-israeliano in Medio Oriente.
Nota: L’Arab Peace Initiative è un piano di pace globale proposto nel 2002 dall’allora principe ereditario Abdullah dell’Arabia Saudita. L’Iniziativa chiede la fine del conflitto tra Israele e i palestinesi e la normalizzazione delle relazioni tra Israele e l’intero mondo arabo, in cambio del ritiro israeliano dalle aree conquistate da Israele durante la Guerra dei Sei Giorni del 1967.

Vedi anche:
(da Al Jazeera): https://www.aljazeera.com/news/2010/3/28/the-arab-peace-initiative
(da Middle East Monitor): https://www.middleeastmonitor.com/20210328-remembering-the-2002-arab-peace-initiative/
(da Wikipedia): https://en.wikipedia.org/wiki/Arab_Peace_Initiative

Qua sotto il documento originale:

Ridurre i rischi della guerra nucleare: il ruolo degli operatori sanitari

Ripubblichiamo in versione completa la traduzione dell’appello già ampiamente commentato nell’articolo “Da numerose riviste mediche un editoriale chiesto a IPPNW. Urgente ridurre il pericolo di una guerra nucleare“. Si tratta di un importante editoriale apparso il 1° agosto scorso su un grande numero di riviste medico-scientifiche nel mondo. Una cronaca drammatica sulla traccia di appelli e avvenimenti che fanno eco alla crescente minaccia di un’ecatombe nucleare. “Il ruolo degli operatori sanitari” diventa anch’esso importante.

Titolo originale: Reducing the Risks of Nuclear War—The Role of Health Professionals


Nel gennaio 2023, il Science and Security Board del Bulletin of the Atomic Scientists ha spostato le lancette del Doomsday Clock a 90 secondi prima di mezzanotte, riflettendo il crescente rischio di guerra nucleare.

Nell’agosto 2022, il Segretario generale delle Nazioni Unite António Guterres ha avvertito che il mondo è ora in “un momento di pericolo nucleare mai visto fin dal culmine della guerra fredda”. Il pericolo è stato sottolineato dalle crescenti tensioni tra molti Stati dotati di armi nucleari.

In qualità di redattori di riviste sanitarie e mediche in tutto il mondo, chiediamo agli operatori sanitari di allertare il pubblico e i nostri leader su questo grave pericolo per la salute pubblica e i sistemi essenziali di supporto vitale del pianeta e di sollecitare azioni per prevenirlo.

Gli attuali sforzi di controllo degli armamenti nucleari e di non proliferazione sono inadeguati per proteggere la popolazione mondiale dalla minaccia di una guerra nucleare per intenzione, errore o errore di calcolo. Il Trattato di non proliferazione delle armi nucleari (TNP) impegna ciascuna delle 190 nazioni partecipanti “a perseguire i negoziati in buona fede su misure efficaci relative alla cessazione della corsa agli armamenti nucleari in una data rapida e al disarmo nucleare e su un trattato sul disarmo generale e completo sotto stretto ed efficace controllo internazionale”. I progressi sono stati deludentemente lenti e la più recente Conferenza di revisione del TNP nel 2022 si è conclusa senza una dichiarazione concordata.

Ci sono molti esempi di “quasi disastri” che hanno esposto i rischi di dipendere dalla deterrenza nucleare per un futuro indefinito. La modernizzazione degli arsenali nucleari potrebbe aumentare i rischi: ad esempio, i missili ipersonici riducono il tempo disponibile per distinguere tra un attacco e un falso allarme, aumentando la probabilità di una rapida escalation.

Qualsiasi utilizzo delle armi nucleari sarebbe catastrofico per l’umanità. Anche una guerra nucleare “limitata” che coinvolga solo 250 delle 13.000 armi nucleari nel mondo potrebbe uccidere 120 milioni di persone e causare uno sconvolgimento climatico globale che porterebbe a una carestia nucleare, mettendo a rischio 2 miliardi di persone. Una guerra nucleare su larga scala tra Stati Uniti e Russia potrebbe uccidere 200 milioni di persone o più nel breve termine e potenzialmente causare un “inverno nucleare” globale che potrebbe uccidere da 5 a 6 miliardi di persone, minacciando la sopravvivenza dell’umanità. Una volta fatta esplodere un’arma nucleare, potrebbe verificarsi rapidamente un’escalation fino a una guerra nucleare totale. La prevenzione di qualsiasi uso delle armi nucleari è quindi una priorità urgente per la salute pubblica e devono essere compiuti passi fondamentali anche per affrontare la causa principale del problema, ovvero l’abolizione delle armi nucleari.

Una volta che un’arma nucleare è fatta esplodere, l’escalation alla guerra nucleare a tutto campo potrebbe verificarsi rapidamente. La prevenzione di qualsiasi uso di armi nucleari è quindi una priorità urgente per la salute pubblica e devono essere adottate anche misure fondamentali per affrontare la causa principale del problema, abolendo le armi nucleari.

La comunità sanitaria ha avuto un ruolo cruciale negli sforzi per ridurre il rischio di una guerra nucleare e dovrà continuare a farlo in futuro. Negli anni ’80 gli sforzi degli operatori sanitari, guidati dall’ International Physicians for the Prevention of Nuclear War (IPPNW), hanno contribuito a porre fine alla corsa agli armamenti della Guerra Fredda educando i politici e il pubblico su entrambi i lati della cortina di ferro sulle conseguenze mediche. della guerra nucleare. Ciò è stato riconosciuto quando nel 1985 è stato assegnato all’IPPNW il Premio Nobel per la Pace (https://www.ippnw.org).

Nel 2007, l’IPPNW ha lanciato la Campagna internazionale per abolire le armi nucleari, che è diventata una campagna globale della società civile con centinaia di organizzazioni partner. Un percorso verso l’abolizione nucleare è stato creato con l’adozione del Trattato sulla proibizione delle armi nucleari nel 2017, per il quale la Campagna internazionale per l’abolizione delle armi nucleari ha ricevuto il Premio Nobel per la pace del 2017. Le organizzazioni mediche internazionali, tra cui il Comitato internazionale della Croce Rossa, l’IPPNW, l’Associazione medica mondiale, la Federazione mondiale delle associazioni di sanità pubblica e il Consiglio internazionale degli infermieri, hanno avuto un ruolo chiave nel processo che ha portato ai negoziati e nei negoziati stessi, presentando le prove scientifiche sulle catastrofiche conseguenze sanitarie e ambientali delle armi nucleari e della guerra nucleare. Hanno continuato questa importante collaborazione durante la prima riunione degli Stati parti del Trattato sulla proibizione delle armi nucleari, che attualmente ha 92 firmatari, tra cui 68 Stati membri.

Chiediamo inoltre loro di lavorare per porre fine definitivamente alla minaccia nucleare sostenendo l’urgente avvio di negoziati tra gli Stati dotati di armi nucleari per un accordo verificabile e con scadenza temporale per l’eliminazione delle loro armi nucleari in conformità con gli impegni del TNP, aprendo la strada a tutte le nazioni ad aderire al Trattato sulla proibizione delle armi nucleari.

Il pericolo è grande e crescente. Gli Stati dotati di armi nucleari devono eliminare i loro arsenali nucleari prima di eliminare noi. La comunità sanitaria ha svolto un ruolo decisivo durante la Guerra Fredda e, più recentemente, nello sviluppo del Trattato sulla proibizione delle armi nucleari. Dobbiamo riprendere questa sfida come una priorità urgente, lavorando con rinnovata energia per ridurre i rischi di guerra nucleare ed eliminare le armi nucleari.


Nota: questo editoriale viene pubblicato contemporaneamente su più riviste. Per l’elenco completo vedere https://www.bmj.com/content/full-list-authors-and-signatories-nuclear-risk-editorial-august-2023.

Tempi duri alla PrepCon

Tempi sempre più duri per lo spirito negoziale: il difficile avvio dell’undicesima Conferenza di revisione del NPT

Si è svolta a Vienna dal 31 luglio all’11 agosto, sotto la presidenza dell’ambasciatore finlandese Jarmo Viinanen, la prima sessione del comitato preparatorio (PrepComI) dell’undicesima Conferenza di revisione del Trattato di non proliferazione (NPT), prevista per il 2026. Dopo due settimane di discussioni su questoni che hanno un’importanza fondamentale per la sopravvivenza del mondo, gli stati parte hanno concluso la riunione non solo senza produrre un documento condiviso, ma addirittura litigando su quali documenti si potessero elencare nel rapporto procedurale.

Il Trattato NPT è il fondamentale strumento internazionale per regolare le problematiche dell’energia nucleare, proibendo l’accesso di nuovi paesi alle armi nucleari, richiedendo il disarmo nucleare e promuovendo le applicazioni nucleari pacifiche. Entrato in vigore nel 1970, è quasi universale, mancando solo cinque adesioni: Corea del Nord, India, Israele, Pakistan e Sud Sudan; Taiwan, già parte come “Cina” fino al 1971, rimane impegnata a rispettarne la sostanza. Il trattato, unico nella giurisdizione internazionale, ammette una disparità di diritti e doveri fra le parti, distinguendo Cina, Francia, Russia, UK e USA (Nuclear- weapons states – NWS) dai rimanenti paesi (Non-nuclear-weapon states – NNWS); tale discriminazione è in principio solo temporanea, richiedendo l’articolo VI il disarmo nucleare, ma di fatto si sta perpetuando nel tempo e costituisce la causa principale delle difficoltà del trattato stesso.

Dato il ruolo cruciale del NPT per la sicurezza nucleare globale, ogni cinque anni è prevista una conferenza per “esaminare il funzionamento del Trattato al fine di accertare se le finalità del suo preambolo e le sue disposizioni si stiano realizzando” e per proporre suggerimenti per rafforzare il controllo dell’energia nucleare militare e civile.

Dato l’alto valore politico e diplomatico delle conferenze di revisione (RevCon) e la complessità dei lavori da svolgere, spesso fra gravi tensioni o conflitti internazionali, nel 2000 si decise di impegnare la comunità internazionale nei tre anni che precedono una RevCon in lavori di preparazione della conferenza stessa, con appunto un comitato preparatorio articolato in tre sessioni.

Lo scopo delle prime due sessioni del PrepCom è quello di esaminare principi, obiettivi e modalità e questioni specifiche di sostanza per promuovere la piena attuazione del Trattato, nonché la sua universalità, e di formulare raccomandazioni in merito alla RevCon. La terza sessione ha il mandato specifico di produrre un rapporto consensuale contenente raccomandazioni alla conferenza, tenendo conto delle deliberazioni e dei risultati delle sessioni precedenti.

Poiché in queste conferenze ogni decisione, compresa l’agenda dei lavori, richiede l’unanimità di consensi, il più delle volte non si riesce a concordare un documento finale, specie in occasione di gravi tensioni politiche: in particolare la nona e la decima RevCon hanno visto insanabili e irriducibili contrapposizioni sulla maggioranza dei punti in esame e, alla fine, non venne espresso un documento concordato: le motivazioni formali furono nel 2015 l’opposizione degli USA alle posizioni relative a Israele e nel 2022 il veto russo per i riferimenti alla guerra in Ucraina.

Verso il comitato preparatorio

L’inizio del ciclo negoziale dell’undicesima RevCon avviene in un momento particolarmente delicato per il controllo delle armi di distruzione di massa: dopo il fallimento della RevCon del NPT nell’agosto del 2022, nel dicembre la nona RevCon della Convenzione sulle armi biologiche (BWC) ha adottato un documento finale con la sola parte formale, a seguito dell’indisponibilità russa a concordare sulla parte contenente gli elementi sostanziali, creando il precedente di un “consenso per cancellazione” combinato con un “consenso per rinvio”. Infine anche la quinta RevCon della Convenzione sulle armi chimiche (CWC) si è conclusa il 19 maggio 2023 senza un documento concordato per l’ostruzione deliberata di Russia e Siria.

Sorte migliore non ha avuto l’evento propedeutico alla PrepComI, il Gruppo di lavoro “sull’ulteriore rafforzamento del processo di revisione del Trattato”, istituito dalla decima RevCon; alla fine dei lavori (24-28 luglio 2023), non si riuscì a redigere un testo di proposte concordate, nonostante “il dialogo sostanziale, interattivo e approfondito intrapreso dagli Stati parte nel corso delle discussioni del gruppo di lavoro”. Il presidente del gruppo ha presentato, sotto la sua personale autorità, un “documento di lavoro” con 26 raccomandazioni per la PrepComI, estrapolate dai lavori del gruppo: oltre a indicazioni sulla gestione dei tempi dei lavori e la redazione dell’agenda dei vari comitati della RevCon, raccomandando l’attenzione prioritaria alle questioni di sostanza, uno spazio significativo è dato al rispetto delle condizioni di trasparenza e responsabilità, con l’esame critico dei rapporti nazionali delle parti.

In particolare, per rendere effettivo e verificabile l’impegno preso dai NWS nel 2010 (azioni 20 e 21) di informare tutte le parti sulle proprie attività nella prospettiva del disarmo nucleare, si suggerisce l’impiego di un modello standard di rendicontazione includente: i piani di modernizzazione delle armi nucleari e le relative modifiche alle loro capacità nucleari; il numero, il tipo (strategico o non strategico) e lo stato (schierato o non schierato) delle testate nucleari; il numero e il tipo dei vettori; le misure adottate per ridurre il ruolo e l’importanza delle armi nucleari nelle dottrine e nelle politiche di sicurezza; le misure adottate per ridurre il rischio di uso involontario, non autorizzato o accidentale delle armi nucleari; le misure adottate per disattivare o ridurre l’allerta operativa dei sistemi di armi nucleari; il numero e il tipo di armi e vettori smantellati; e la quantità di materiale fissile per scopi militari.

La prima sessione del comitato preparatorio

Ai lavori della PrepComI hanno partecipato 113 stati, 12 agenzie specializzate, organizzazioni intergovernative internazionali e regionali come osservatori; alle sessioni aperte furono ammessi i rappresentanti di 71 organizzazioni non governative, cui fu concesso di presentare documenti e fare interventi in una sessione speciale il 2 agosto.

L’agenda dei lavori prevedeva l’esame dell’attuazione delle disposizioni del NPT relative ai tre capisaldi del trattato: disarmo nucleare, pace e sicurezza internazionale; non proliferazione delle armi nucleari, salvaguardie e zone libere da armi nucleari; il diritto inalienabile di tutte le parti di sviluppare la ricerca, la produzione e l’uso dell’energia nucleare per scopi pacifici senza discriminazioni.

Il comitato si è trovato in un momento di grave tensione globale, con notevoli sviluppi delle problematiche nucleari, fra cui: l’ammodernamento degli arsenali nucleari di tutti gli NWS e l’aumento delle armi cinesi, la sospensione del trattato bilaterale NewSTART, le minacce nucleari russe, il posizionamento di armi nucleari russe in Bielorussia, l’acquisizione australiana di sommergibili a propulsione nucleare (accordo AUKUS), il programma nucleare e missilistico della Corea del nord (DPRK), la produzione iraniana di uranio fortemente arricchito, l’occupazione militare russa della centrale ucraina di Zaporizhzhia e i conseguenti problemi di sicurezza, la crescente adesione al Trattato sulla proibizione delle armi nucleari (TPNW) da parte di membri del NPT.

La PrepComI ha visto incancrenirsi le contrapposizioni già emerse nell’ultima RevCon con nuovi scismi e contrasti all’interno di organizzazioni e alleanze. La questione cruciale è la disattesa di progressi nel disarmo nucleare, che ha visto solo passi indietro: la storica contrapposizione fra NWS e NNWS si è riproposta e radicalizzata nei termini legati al trattato TPNW, avversato dai NWS e da loro alleati, decisi a sostenere l’attuale fase di sostanziale rafforzamento degli armamenti nucleari, necessario “dato il contesto di sicurezza internazionale”. Importante è stata la messa in discussione dello stesso principio di deterrenza nucleare con i gravi rischi che esso comporta e il suo impatto umanitario.

La creazione di una base nucleare in Bielorussia ha riproposto il problema globale della condivisione di armi nucleari di NWS con NNWS, dando nuova forza alla condanna di tale prassi da parte della gran parte dei membri, mentre paesi della NATO si son trovati in difficoltà a condannare la recente mossa russa e difendere al contempo le armi americane presenti in Europa.

Nella discussione sulle applicazioni pacifiche dell’energia nucleare una novità è stata la presentazione da parte di alcuni governi dei rischi e dei pericoli posti dagli impianti elettronucleari per le persone e per il pianeta, con il suggerimento di un loro abbandono graduale. Tali prospettive sono state rafforzate nella discussione sulla minaccia di una catastrofe nella centrale nucleare di Zaporizhzhya coinvolta nella guerra della Russia contro l’Ucraina e sul piano del Giappone per lo scarico nell’oceano dell’acqua reflua triziata della centrale nucleare di Fukushima Daiichi.

Su tutte le tematiche discusse nella PrepComI vi sono state posizioni contrastanti, con un generale irrigidimento di ogni paese sulle proprie posizioni. Gli unici argomenti su cui vi è stato un qualche consenso, ma senza proposte concrete, sono l’importanza di programmi di educazione al disarmo e al contrasto alla proliferazione e la necessità di un equilibrio di genere, con un maggiore coinvolgimento di donne in tutti i processi decisionali che riguardino disarmo, pace e sicurezza internazionale.

Il 10 agosto il presidente della sessione ha proposto una bozza di rapporto della PrepComI, ma ogni punto ha sollevato critiche, spesso contrapposte, per cui la bozza è stata ritirata, lasciando solo un formale rapporto procedurale; il giorno seguente l’ambasciatore Viinanen, seguendo la solita prassi, ha proposto, sotto la sua responsabilità una bozza di sintesi dei lavori (Draft Factual Summary) e sue raccomandazioni per la PrepComII.

A questo punto è iniziata un’aspra questione procedurale per stabilire quali documenti poter elencare nel rapporto procedurale: l’Iran, la Russia e la Siria si sono opposti all’inclusione del Draft Factual Summary e delle raccomandazioni del presidente nell’elenco dei documenti ufficiali, neppure come documento di lavoro, mettendo in discussione l’intera prassi delle RevCon. Alla fine, per consentire l’adozione del rapporto procedurale e avere un resoconto della riunione, il presidente ha ritirato il suo riassunto e ha presentato le raccomandazioni, ridenominate “riflessioni”, come documento di lavoro della PrepComII.

Tuttavia, la disputa sull’elenco dei documenti di un rapporto procedurale è estrema anche per gli standard del TNP. Era lecito sperare che il fallimento di due Conferenze di revisione consecutive dovesse ispirare una certa flessibilità e un compromesso tra gli stati parte per preservare il Trattato a cui dicono di tenere così tanto.

Dopo due settimane di deplorevole diplomazia, mancanza di leadership e predominio di ristretti interessi nazionali che hanno paralizzato la PrepComI, alcuni osservatori ritengono comunque valido l’evento che “ha fornito un’occasione di dialogo alla comunità internazionale”, con la speranza di un “clima politico più favorevole ai progressi sul fronte del disarmo e della non proliferazione”.

Le occasioni di incontro sono importanti ma se il dialogo si riduce alla proposizione dogmatica di posizioni contrastanti, senza la minima apertura alla ricerca di una sintesi, in scontri essenzialmente propagandistici col fine di demonizzare l’avversario, c’è il rischio concreto che i grandi trattati universali sulle armi di distruzione di massa divengano obsoleti e non riescano a sopravvivere quali strumenti di riduzione dei conflitti e una via verso il disarmo e la convivenza pacifica.

Alessandro Pascolini – Padova, 30 agosto 2023